Giambattista Vico - Vero e fatto si convertono


Immagine Giambattista Vico
1) Introduzione
2) Lettura
3) Guida alla lettura
4) Guida alla Comprensione

Introduzione


Nell'opera intitolata "L'antichissima sapienza degli italici da trarsi dalle origini della lingua latina" pubblicata nel 1710, Giambattista Vico si dedica all'analisi delle radici dell'antica saggezza italica esplorando le etimologie di varie parole latine. Nel primo capitolo del libro, che è riproposto quasi per intero, Vico introduce l'idea che "verum et factum convertuntur", traducibile come "il vero e il fatto si equivalgono". Questo concetto implica che possiamo comprendere solo ciò che noi stessi creiamo, poiché la conoscenza deriva dall'essere consapevoli del processo con cui qualcosa viene realizzata. Vico utilizza questo principio per argomentare che l'uomo non è in grado di comprendere le leggi naturali, essendo esse manifestazioni della volontà divina. L'uomo può solamente osservarle esternamente, senza poterle "raccogliere" o comprendere completamente nella sua mente data la loro complessità. Questa nozione di verità e creazione è ulteriormente sviluppata nella "Scienza nuova", dove Vico afferma che il "mondo civile", essendo frutto dell'azione umana, è conoscibile, nonostante le sue fondamenta siano influenzate da principi donati dalla provvidenza divina, il che implica che gli uomini non siano gli unici artefici del loro destino.


Lettura


In latino verum e factum hanno relazione reciproca, ovvero, nel linguaggio corrente delle Scuole, si convertono. Intelligere è lo stesso che leggere perfettamente, conoscere apertamente. Si diceva cogitare nel senso in cui noi in volgare diciamo: «pensare» e «andar raccogliendo». Ratio significava il calcolo aritmetico, e la dote propria dell'uomo, per cui si differenzia dagli animali bruti e li supera; descrivevano comunemente l'uomo come un animale «partecipe di ragione», non padrone completo di essa. D'altronde, come le parole sono simboli e note delle idee, così le idee sono simboli e note delle cose. Dunque, come legere è l'atto di chi raccoglie gli elementi della scrittura da cui si compongono le parole, così intelligere è il raccogliere tutti gli elementi della cosa atti ad esprimere un'idea perfettissima.

Da qui si può congetturare che gli antichi sapienti dell'Italia convenissero, circa la verità, nelle seguenti proposizioni: il vero si identifica col fatto; di conseguenza il primo vero è in Dio, perché Dio è il primo facitore; codesto primo vero è infinito, in quanto facitore di tutte le cose; è compiutissimo, poiché rappresenta a Dio, in quanto li contiene, gli elementi estrinseci ed intrinseci delle cose. Sapere (scire) significa comporre gli elementi delle cose: quindi alla mente umana è proprio il pensiero (cogitatio), alla divina l'intelligenza (intelligentia).

Dio infatti raccoglie (legit) tutti gli elementi delle cose, estrinseci ed intrinseci, in quanto li contiene e dispone; invece la mente umana, in quanto limitata, e in quanto sono fuori di lei tutte le altre cose che non siano essa stessa, può soltanto andare ad accozzare gli elementi esterni delle cose, senza mai collegarli tutti. Pertanto è partecipe della ragione, non padrona.

Per illustrare tutto questo con una similitudine: il vero divino è una solida immagine delle cose, una specie di plastico; quello umano è un monogramma, un'immagine piana, una specie di dipinto. [...]

Per conciliare più agevolmente queste considerazioni con la nostra religione, si deve sapere che per gli antichi filosofi dell'Italia il vero e il fatto si convertivano, poiché pensavano che il mondo fosse eterno; inoltre i filosofi gentili venerarono un Dio che sempre avrebbe operato all'esterno, cosa che la nostra teologia nega.

Perciò nella nostra religione, per la quale professiamo che il mondo fu creato nel tempo dal nulla, occorre qui una distinzione: il vero creato si converte col fatto (factum) il vero increato col generato (genitum). Le Sacre Scritture, con eleganza veramente divina, chiamarono «Verbo» (Verbum) la sapienza di Dio, che contiene in sé le idee di tutte le cose, e quindi gli elementi di tutte le idee. Nel Verbo infatti si identificano il vero e la comprensione di tutti gli elementi che compongono la totalità dell'universo; se volesse potrebbe costituire infiniti mondi; e giacché nella sua divina onnipotenza conosce tutto ciò, esiste un Verbo reale esattissimo, che essendo sin dall'eternità conosciuto dal Padre, dall'eternità è altresì generato da lui.


Guida alla lettura


1) Spiega il significato concreto rinvenuto da Vico nell'etimologia delle parole colte «legere», «intelligere», «cogitare», «ratio», «scire» e confrontalo con il significato evoluto astratto.
Nel testo che hai fornito, Giambattista Vico esplora il significato etimologico di alcune parole latine e come queste si relazionano con la concezione di conoscenza e verità. Ecco un'analisi dettagliata di ciascuna parola secondo Vico e il confronto con i loro significati più astratti o evoluti:

Legere:

Significato etimologico: Vico lo collega all'atto di raccogliere gli elementi della scrittura per comporre le parole, una sorta di aggregazione o collezione di parti per formare un tutto.
Significato astratto: Nel contesto moderno, "leggere" si riferisce generalmente all'interpretazione di testi scritti, che può includere non solo la decodifica delle parole, ma anche la comprensione di significati complessi e astratti oltre il testo visibile.

Intelligere:

Significato etimologico: Legato a "legere", implica una raccolta ancora più profonda e completa degli elementi di una cosa per esprimere un'idea perfetta. Vico lo associa a una comprensione totale e perfetta.
Significato astratto: Oggigiorno, "intendere" o "capire" può avere una connotazione meno meccanica e più intuitiva o riflessiva, spesso legata alla capacità di comprendere concetti astratti o complessi senza necessariamente avere una visione completa di tutti gli elementi costitutivi.

Cogitare:

Significato etimologico: Implica un processo di pensiero in cui l'individuo "va raccogliendo" attivamente, simile al raccogliere pezzi per costruire una conoscenza.
Significato astratto: Nel linguaggio moderno, "pensare" è spesso inteso come un processo mentale che può essere sia concreto sia astratto, non necessariamente legato al raccogliere informazioni in modo ordinato.

Ratio:

Significato etimologico: Originariamente significava calcolo aritmetico, indicando un processo logico e metodico.
Significato astratto: "Ragione" oggi è ampiamente associata alla logica e alla capacità di pensiero critico e astratto, non limitata solamente al calcolo numerico ma estesa alla valutazione di argomentazioni o alla formulazione di teorie.

Scire:

Significato etimologico: Significa comporre gli elementi delle cose, quindi conoscere qualcosa nel suo modo di essere costruito o formato.
Significato astratto: "Sapere" in un contesto moderno può riferirsi a una conoscenza che può essere sia teorica sia pratica, spesso acquisita anche senza un coinvolgimento diretto nella costruzione o formazione dell'oggetto di conoscenza.

Vico utilizza queste etimologie per sostenere la sua tesi che la conoscenza umana è limitata ai fatti creati dall'uomo, mentre la conoscenza divina è infinita e comprensiva di tutto. In sintesi, Vico trova nei significati etimologici una dimensione più concreta e materialmente legata alla costruzione e al fare, mentre i significati astratti odierni spesso trascendono questi confini, estendendosi a sfere più ampie e meno tangibili.

2) Spiega l'immagine geometrica del solido e del piano applicata al sapere divino e umano.
Nel testo che mi hai fornito, Vico utilizza una metafora visiva per differenziare la natura del sapere divino rispetto a quello umano, descrivendo il primo come un "solido" e il secondo come un "monogramma" o un'immagine "piana".

Il sapere divino come un solido: Questa immagine geometrica evoca una figura tridimensionale, che ha volume, profondità e una complessità che permette di essere esplorata da vari angoli. Il "solido" suggerisce che il sapere divino abbraccia completamente tutte le dimensioni della realtà, integrando gli elementi esterni ed interni delle cose in una comprensione completa e onnicomprensiva. È una rappresentazione di come Dio, nella sua onniscienza, comprenda tutto ciò che è stato, è e sarà, senza limitazioni.

Il sapere umano come un monogramma o un dipinto piano: Al contrario, il sapere umano è descritto come bidimensionale, simile a un'immagine piatta o a un dipinto. Questa metafora sottolinea la limitatezza della comprensione umana, che può accostare solo gli aspetti esterni delle cose. L'immagine "piana" implica che la comprensione umana non possiede la profondità o la totalità della conoscenza divina; gli uomini possono osservare e analizzare la superficie delle cose ma non possono penetrarne completamente la natura o collegare tutti gli elementi interni ed esterni in modo completo.

Questa contrapposizione tra il sapere divino e quello umano evidenzia la concezione di Vico sulla natura limitata della ragione umana, che, pur essendo partecipe della ragione divina, non ne è la padrona. Pertanto, il sapere umano è sempre parziale e incompleto rispetto alla conoscenza totale e infinita che solo Dio possiede.

3) Che cosa significa per Vico che il mondo è il «Verbo» di Dio?
Nel contesto del pensiero di Vico, l'affermazione che il mondo è il "Verbo" di Dio si può interpretare basandosi sulla sua filosofia del vero e del fatto che si convertono. Vico utilizza l'idea del "Verbo" per spiegare come la sapienza di Dio, che contiene le idee di tutte le cose, sia intrinsecamente legata alla creazione e alla struttura stessa dell'universo.

Quando Vico parla del "Verbo" di Dio, si riferisce alla sapienza divina che include gli elementi di tutte le idee e che forma la sostanza di tutto ciò che esiste. Nel testo, il "Verbo" è descritto come la capacità di Dio di comprendere e contenere tutti gli elementi che compongono l'universo, cosa che permette a Dio di potenzialmente creare infiniti mondi. Il "Verbo" è quindi l'incarnazione del vero divino, che è a sua volta identificabile con il processo creativo di Dio stesso.

Nella visione di Vico, il vero e il fatto sono convergenti non solo nel senso umano ma anche nel senso divino. Per gli umani, questa convergenza è limitata dalla capacità umana di conoscere e comprendere, che è confinata alla manipolazione degli elementi esterni delle cose. Per Dio, invece, il vero e il fatto si convertono in modo più assoluto e onnicomprensivo, poiché Dio non solo conosce ma è anche il generatore eterno di tutto ciò che è reale e possibile.

In conclusione, per Vico, dire che il mondo è il "Verbo" di Dio significa riconoscere che il mondo è una manifestazione diretta della sapienza e del potere creativo divino, un'espressione concreta e reale del sapere infinito e della capacità generativa di Dio.


Guida alla Comprensione


1) Illustra il significato della formula «verum ipsum factum», spiegando quale preclusione e quale apertura essa comporta per il sapere umano.
La formula «verum ipsum factum», attribuita a Giambattista Vico, sostiene l'idea che "il vero è ciò che è fatto". Questa prospettiva filosofica implica una riconciliazione tra conoscenza e azione, sostenendo che possiamo conoscere veramente solo ciò che noi stessi abbiamo creato. Di conseguenza, la conoscenza umana è radicata nell'umanità stessa e nelle sue creazioni, e non in un ordine trascendentale o divino.

Preclusione del sapere umano

Limiti nella conoscenza delle leggi naturali: Vico sostiene che l'uomo non può conoscere le leggi della natura in modo completo o vero, in quanto queste sono opera di Dio. L'uomo può solo osservare e studiare i fenomeni naturali, ma non può comprendere o replicare il processo divino di creazione. Dunque, l’umanità è esclusa dalla piena comprensione delle leggi naturali perché non sono un suo "fatto".
Limiti della percezione esterna: Secondo Vico, la mente umana, essendo limitata e non avendo un accesso diretto alla sostanza interna delle cose, può solo "accazzare, ovvero raccogliere, gli elementi esterni. Questo implica che il vero accessibile all'uomo è parziale e imperfetto, simile a un "monogramma" o a un "dipinto", in contrasto con la "solida immagine" del vero divino.

Apertura del sapere umano

Conoscenza del mondo civile: Sebbene l'uomo non possa conoscere le leggi naturali con la stessa profondità di Dio, ha la capacità di comprendere e conoscere il "mondo civile", ovvero la società e la storia, che sono frutto dell'azione umana. Questa è una creazione umana, e quindi, seguendo la logica di Vico, è conoscibile in profondità.
Autocreazione e storia: L'uomo, agendo nel mondo, crea la storia e la cultura, che a loro volta diventano oggetto di studio e comprensione. Questo permette all'umanità di avere una conoscenza profonda delle proprie creazioni, sia culturali che storiche, aprendo una dimensione di sapere basata sull'autointerpretazione e sulla riflessione critica sulla propria azione nel mondo.

In conclusione, la formula di Vico implica che la conoscenza umana sia fondamentalmente autoconoscenza e che sia intrinsecamente legata all'attività e alla creatività umana. La conoscenza delle realtà oltre quelle umanamente create resta parziale e metaforica, mediata dal linguaggio e da altre forme simboliche che tentano di colmare il divario tra l'umano e il divino.

2) Spiega quale errore secondo Vico commettevano gli antichi sapienti italici cercando la verità nel mondo della natura.
Secondo Vico, l'errore degli antichi sapienti italici consisteva nel cercare la verità nel mondo della natura, una ricerca destinata al fallimento poiché le leggi della natura sono opera di Dio e, di conseguenza, trascendono la capacità umana di conoscenza diretta e completa. Gli uomini, secondo Vico, non possono conoscere in modo profondo e assoluto la natura perché non ne sono i creatori. L'uomo può soltanto osservare e raccogliere i dati del mondo esterno, ma non può comprendere o "raccogliere" ordinatamente nella sua mente tutti gli elementi che compongono la natura, in quanto non ha partecipato al loro atto creativo.

Vico stabilisce una netta distinzione tra il "vero" che è connesso con il "fatto", e l’uomo può conoscere veramente solo ciò che ha fatto, cioè il mondo civile, le sue leggi e la sua storia, che sono frutto dell’agire umano. Al contrario, il mondo naturale, creato da Dio, rimane in parte inaccessibile e indecifrabile in quanto l’uomo non ha partecipato al suo processo creativo. Quindi, l'approccio degli antichi che cercavano la verità assoluta nella natura era errato perché basato su una premessa di conoscenza e controllo che l'uomo non può realmente avere rispetto alla creazione divina.

3) Perché solo in Dio l'identità di verum e factum è assoluta?
Nel testo, si spiega che solo in Dio l'identità di verum (vero) e factum (fatto) è assoluta perché Dio è il primo facitore, il creatore di tutte le cose. Essendo l'origine di ogni cosa, Dio possiede una conoscenza perfetta e completa di tutto ciò che ha creato. Questo principio deriva dalla nozione che solo chi crea qualcosa può conoscerla appieno. Perché in Dio, il vero e il fatto si identificano completamente: Dio non solo conosce l'universo nella sua totalità ma, attraverso il suo Verbo, è anche l'agente creatore di tutto l'universo.

Pertanto, nel contesto della filosofia di Vico, la conoscibilità piena e la creazione stessa sono attributi unici della divinità, differenziando così la capacità di Dio dalla limitata capacità di comprensione umana. Gli umani, essendo creatori solo del "mondo civile" e non della natura o dell'universo nel suo insieme, non possono avere una comprensione assoluta come quella divina. Loro hanno una visione più limitata e parziale, non essendo i creatori originali di tutto ciò che esiste.

Questa visione mette in evidenza la distinzione fondamentale tra la conoscenza umana e la conoscenza divina, con quest'ultima che è totale e perfetta poiché deriva dall'essere anche l'azione creatrice.

Fonti: Zanichetti, libri scolastici superiori

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